La teoria e la realtà – elogio dell’intolleranza

26 gennaio 2012

Premessa. Questo non è un post politicamente corretto, ma a volte bisogna tirare i ragionamenti alle estreme conseguenze. Mi è capitato di pensare ad una situazione simile a quella di Lady Oscar ai giorni nostri. L’equivalente del povero attendente nipote biorfano della governante cosa potrebbe essere? E qui comincia un disperante viaggio nella realtà odierna e, anche, una discesa non solo nel pregiudizio – perché, siamo onesti, se così fosse, sarebbe semplice e basterebbe dire “ok, via i pregiudizi” -. Purtroppo, qui non si tratta solo di pregiudizi, ma certe realtà, al giorno d’oggi, non solo disturbano, non solo sono a volte involontariamente comiche, ma sono tristi perché non c’è pregiudizio che tenga, purtroppo, certa gente è così. Allora, ve la immaginate la figlia di papà che si innamora di un villoso tizio, che pare zozzo pure se si lava, che per Natale si regala una camicia bianco abbacinante e collanoni e madonne d’oro, e sfoggia un taglio di capelli – rigorosamente cementati con la calce – primi anni ’90, rosso come il mattone, che, appena apre bocca, sforna rozzezza da ogni corda vocale ed emette suoni (???) gutturali? Bene, ci siamo? Ora aggiungete cinturone borchiato, pantalone a mezza chiappa griffato (perché la pettinatura è anni ’90, ma la chiappa no). Calzino bianco e mocassino. Alzategli un po’ (un bel po’) il tono della voce. Aggiungete una atavica incapacità di usare il lei (figuriamoci il voi). Indi, montatelo su un suvvone di quelli peggio che da arricchiti, coi cerchi in lega e gomme iperdimensionate. Immaginatelo circondato da un clan di fratelli e cugini e parenti tutti simili. Bene. Ora, immaginate l’equivalente del buon Giro. Un rilassante rampollo modello Agnelli. Scommettiamo che, stavolta, Lady Oscar finirebbe diversamente?
P.S. Ma Oscar si sarebbe davvero innamorata di uno così? + -+


Gli occhi di André

19 gennaio 2012

Mi ha sempre sorpreso che, col progredire della sua cecità parziale, André sembri sempre meno attento nei confronti di Oscar. Fatto salvo l’episodio di Harouncourt, in cui riesce ad afferrarle il polso nell’esplosione (e quanto mi sarebbe piaciuto vedere la scena del momento in cui lo fa), lo vediamo sempre più distante (dev’essere l’interpretazione dezakiana dello sguardo lontano della Ikeda), meno pronto. Di fatto è Alain che lo spinge a seguire Oscar, complice un calcio assestato, dopo l’episodio dell’Assemblea nazionale, cosicché André è presente e può aiutarla a fuggire. Tocca alla nonna far capire ad André che è il caso di controllare cosa sta combinando il generale con la figlia. E’ Alain che fa notare ad André che Oscar è pallida. Alain sembra molto più presente, segue Oscar, come un sostituto di André. E’ come se, nella scelta ,dell’anime, che si svolge tutto in tono minimale, minore, a livello dei sentimenti, André sia sempre più stanco, arrivi sempre più devastato, per la sua situazione personale, alla resa dei conti con Oscar, e, quindi, sempre meno attento, più perso dietro i suoi pensieri, le sue cose. Alain, in questi frangenti, gioca come gli occhi di André.
P.S. Mi scuso con tutti quelli che scrivono, ma sono in full immersion fumetto e, conseguentemente, ho poco spazio a disposizione. ^_-;


Da Alessandra e Laura (emendatrix dei testi ^_-;) Tra gli epigoni del niveo stallone – viaggio nel panorama pseudo-oscariano

17 gennaio 2012

Ad Alessandra sono capitati tra le mani i tomi di un autore, poeta e critico, altresì attivo nel panorama della scrittura fucsia, che si è pregiato di rifarsi ai nostri personaggi, per scrivere diverse opere delle sue, presto pubblicizzate tra i suoi pari e presto raccolte nei suddetti tomi. Alessandra ha recensito e inviato a Laura, la quale si è rifiutata vieppiù di leggere i tomi suddetti, ma si è offerta di emendare, scopo blog, riducendo ad italica recensione il pensiero della nostra inclita autrice Alessandra e mantenendone i memorabilia, LOL.
La temperie da cui scaturiscono esse, delle what-if, è la più dotta, essendo l’autore addentro al ben noto sistema universitario italiano e non solo, anche editoriale! Quindi egli vanta, a suo credito, ricerche storiche dalle quali sostiene di essersi dipanato per esercitare, nella sua mente, quella imprescindibile opera della fantasia necessaria a creare una storia legata alla Rivoluzione la cui protagonista sia una donna che veste da uomo in ciò costretta dal papi e amata e amante di popolano gonadicamente super-munito e ovviamente cecato.
Sì, e i nostri vi vengono vieppiù descritti in modo cripto-riconoscibile, quale solo la profonda arte della scrittura saprebbe!
Chi non riconoscerebbe l’epigono di mille fanfic da noi recensite nell’Andrè l’aperto, anzi, laperto (non André, quello del francese corretto, con l’accento acuto e la e chiusa -__-), il moro con gli occhi verdi che, cieco, vede, guarda, balla, immancabilmente non vede però bene la geografia perché si sorprende che in Svezia faccia freddo (no, non ha letto né Larsson né Mankell), che, ad una ispiratissima e accorata frase della sua lei (afferma che le viene una stretta allo stomaco), che non si chiama Oscar ma ha lo stesso cognome, però col patronimico con la maiuscola, per la grandeur, si sa, prontamente contropropone di venirle (non una stretta allo stomaco, ma) in bocca. Per la serie: “Poche chiacchiere e veniamo al dunque”.
E come si fa a non riconoscere lei, la nostra amata, che, stavolta figlia unica e in marina (vi ricorda più di una fanfic ispirata ad una frase di Oscar dell’ep. 28? In particolare quella del baby-doll?), proprietaria di un unico vestito da donna, oramai cinquantenne, scambia la menopausa, inopinatamente presentatasi come svenimento involontario, per qualcos’altro e, scornata, si lamenta di restare sempre (???) ingravidata nei momenti meno opportuni (???)…

E come non si può non riconoscere la nostra, la colonnella, nella signora che, alla Bastiglia, ci informa l’autore, forte delle fonti storiche consultate, comandava un cannoncino; o in quella generosa amante che, colta, stavolta, tardivamente dalla tisi e dagli scrupoli, si reca dal cerusico che, elargendo con pacatezza e gentilezza consigli su sintomi e terapie, vorrebbe analizzare quanto ella sputa e, anzi, consiglia, di evitare che Andrèaperto tocchi ciò che è stato bagnato dal liquido che ella emette. Si colma, qui, l’importante vuoto di come la nostra non abbia attaccato la tisi ad André nella storia originale.
Eppure, anche qui, tristemente, in due righe nette di intensa, condensata drammaticità, la nostra diparte, lasciando Andrè l’aperto, l’innamorato, novello vedovo, che, pure, quale ineffabile arzillo papi, mostra indicibili doti di recupero nel mentre si trova, dopo pochi mesi, un’amante! Daje col pasticcone blu!
E Alain, come non riconoscere la vulgata alainiana nell’uomo invitato a venire tra le braccia, nel mentre la gentile invitante spalanca immancabilmente le gambe? L’uomo il cui sesso troneggia entro le cavità o labbra, qualsiasi esse siano (il dubbio sorge lecito, a leggere la frase), delle gentili protagoniste?
L’uomo le cui mutande (sic!) sono le più frequentate del panorama, tra mani e affini, e che intenerisce la gentile metà con la descrizione della propria incapacità di resistere, a tali frequentazioni, poiché l’attrezzo troppo gli si ingrossa. Povero caro… Per non parlare dell’uomo il cui arnese troneggia, nel momento del suo massimo esponenziale, ristretto nelle suddette mutande.
Che dire, infine, degli incalzanti e succulenti dialoghi, costellati di virgole che marcano copiosamente il vorticante cambio di soggetto grammaticale entro la stessa frase o separano il soggetto dal predicato (come a dire “Alessandra virgola è un’autrice” e, ferocemente, il relativo dal suo antecedente; delle particelle pronominali, insomma, di uno stile che rispecchia pienamente il tenore delle odierne produzioni analoghe.
Del resto, a usare in modo artistico la punteggiatura avevano cominciato Proust e Joyce nel secolo scorso.

In fede, Alessandra (et emendatrix Laura).

PS. Se volete scambi sull’argomento, anche al di fuori del blog, scriveteci.


Un padre e una figlia (ep. 35)

13 gennaio 2012

Nell’episodio 35, Oscar resta, immota, vulnerabile, nelle mani di suo padre. Questa scena, che nel cartone è estremamente drammatica, colpisce forse ancora di più nel fumetto, dove, in realtà, il generale sa benissimo che la figlia non avrà conseguenze forti e, quindi, appare ancora più canaglia. Al di là di questo, che, comunque, la dice lunga sul retroterra del generale e sul fatto di percepire Oscar solo in quanto mero strumento nella realizzazione dei propri piani e aspettative, resta, però, una cosa terribile. Oscar non si difende. Non fa niente per difendersi. Parla, ragiona, dice cose pacatissime e sensatissime, ma resta lì, seduta, in posizione subalterna, indifesa e neanche quando il padre sguaina la spada fa qualcosa per difendersi. E’ una cosa terribile e, a pensarci, neanche tanto lontana dalla realtà.
Perché un padre arriva al punto di vedere la figlia solo come strumento? Quanta dose di egoismo occorre? Perché arriva a volerle fare del male se questa non si conforma ai suoi piani?
E, noi, figli, siamo davvero così scoperti, così fragili e vulnerabili, nelle mani dei nostri genitori? Di fronte a loro? Possono davvero volerci fare così enormemente male?


Da Silvia: balli a Versailles

8 gennaio 2012

Penso ai balli di Versailles no bara, e mi viene subito da chiarire un equivoco – il che è probabilmente è superfluo, ma davvero non posso riflettere sull’argomento senza dirlo: sicuramente i balli a Versailles non erano come li immaginiamo dall’anime, e anche dal manga. In questo, è invece molto più realistica la versione movie di Demy (lol, almeno in questo, onore al merito nella ricostruzione… anche se purtroppo fanno – limite di tutto il film – effetto di costruito, di cartapesta; mooolto lontani da Sofia Coppola, che forse è meno storicamente “corretta” ma assai più credibile come spirito e atmosfere).

Userei – rimanendo nel cinema più suggestivo – un’immagine metaforica (scissa ovviamente da verosimiglianze cronologiche): più che Claudia Cardinale nel vaporoso abito bianco del “Gattopardo”, sarebbe stata consona Vivien Leigh con l’abito nero: magari coloratissimo stile M.me Bertin, ma a muovere quel tipo di passi. Niente valzer volteggianti, insomma, ma balli di figura: gavotta, corrente, sarabanda; lo stesso minuetto (l’eccellenza) era quasi una pantomima. Ad essere precisi, il minuetto apparteneva allo “stile manierato”, nato nel Barocco, e restò in voga quasi per tutto il Settecento, finché fu soppiantato dalla contraddanza: un ballo collettivo, più vivace e “popolare” (siamo sul finire del Settecento – e dell’aristocrazia…), uno stile più leggero che preparò, enfin – ma appunto, fin de siecle, almeno in Francia -, l’avvento del valzer.

Comunque, e nonostante le diverse epoche, sia per Angelica, sia per Rossella, sia per Maria Antonietta, un carattere accomunava il ballo: quello di evento sociale.

Al di là del significato assunto particolarmente alla corte francese, soprattutto con Luigi XIV, quando assurse ad occasione politica (e strumento di potere: partecipare a un ballet de roi  significava condividere l’aura regale), il ballo ha mantenuto nel corso dei secoli un importante aspetto relazionale: era l’evento in cui, mi si passi il paragone, si sfoggiava il piumaggio ricco, soprattutto le piume del corteggiamento. Prima ancora che permettere lo sfoggio di potere (ma anche grazie a questa possibilità), la festa da ballo forniva il telaio su cui intrecciare, o ordire, liaisons, più o meno dangereuses.

Pur non volendo tracciare (e mi sarebbe impossibile, per incompetenza, LOL) un profilo storico né sociologico del ballo, è innegabile che, in fondo, il ballo fosse il modo in cui un ragazzo e una ragazza, un uomo e una donna (non solo di alto lignaggio: vedi i balli sull’aia, le feste agresti o paesane), potevano “entrare in contatto” senza che ciò fosse sconveniente (“il ballo” – causticava Karl Kraus – “è la frustrazione verticale di un desiderio orizzontale”). Certo, poteva diventarlo nel momento in cui si oltrepassavano i canoni del codice formale:  monopolizzando una dama tutta la sera – come Fersen al ballo in maschera -, invitando una demoiselle fidanzata – Oscar che nel manga, al ballo di Girodel, si comporta in modo sarcasticamente provocante facendo ingelosire i cavalieri (geniale, Oscar: fa quello che vuole secondo le regole, anzi, usa le regole per rovesciarle; fortuna, comunque, che Dezaki ‘sta parte nell’anime l’ha tagliata, dico “fortuna” perché personalmente l’ho sempre trovata un po’ pesante; non è solo questione di essere etero, LOL, ma che per me il fatto che fin dall’inizio sia chiaro – almeno nella versione italiana – che Oscar è una donna ne accresce lo spessore, il carattere e anche il significato).

Ma torno al ballo: è dunque un palcoscenico, su cui si mette in atto – in forma “protetta” – l’umana commedia (anche) dei sentimenti. Sotto gli occhi del pubblico. E il pubblico è parte fondante del ballo, sia che lo si voglia – et voilà Rosalie e le cretinette per le quali ballare con Oscar avrebbe voluto dire essere “la privilegiata” -, sia che neanche lo si veda, presi dal trasporto – vedi Maria Antonietta e Fersen. Ma nel ballo la forma è sostanza, e quindi – come ogni teatro – rivela mentre  nasconde. Scopre mentre copre.

Perciò Oscar si presenta al ballo in alta montura per evitare che la Regina balli con Fersen. Consapevole del senso di quel ballo. Che in quanto rappresentazione, in pubblico (un ballo privé non esiste!), non può evitare, neanche volendo, che se ne colga il significato, nel momento stesso in cui se ne usa il codice.

Il ballo, però, quale palcoscenico, è anche lo spazio ideale in cui si compie un desiderio. LOL, non pensavo al caustico Kraus…. Per Maria Antonietta, così come ce la consegnano la Ikeda prima e Dezaki poi, è il desiderio di essere libera e spensierata, e in seguito quello di stare tra le braccia di Fersen. Per Rosalie, sarebbe certo quello di essere “ufficialmente” al fianco di Oscar, ma (almeno per il primo ballo cui va) voglio concederle la stessa gioia di Natasha Rostov ragazzina: “Natascia, non  meno fiera di Sonia perché per la prima volta portava la gonna lunga e partecipava a un vero ballo, era ancor più felice. Ambedue indossavano abiti bianchi di mussolina, con nastri rosa. Natascia si sentì innamorata da quello stesso minuto in cui entrò nella sala. Non era innamorata di alcuno in particolare, ma lo era di tutti. Era innamorata di colui che essa guardava, nel minuto stesso in cui lo guardava. “Ah, come tutto è bello!” ripeteva sempre, correndo da Sonia”. (L. Tolstoj, Guerra e Pace, vol. I, parte IV cap.XII, trad. di Erme Cadei, ed. Mondadori, 1941, rist. Oscar Biblioteca 1979, pagg. 451-2).

Il ballo è un’altra dimensione, un mondo a parte. Di sogno. La possibilità di creare una realtà desiderata.

Oscar sa anche questo – sa che il ballo le offre questa opportunità, una scusa di presentarsi come donna senza dovere spiegazioni, di essere donna senza dover essere lei. Il ballo è rappresentazione, e quindi recitiamo. Mettiamo in scena, mascherandola, una cosa vera. Teatro dell’assurdo. L’assurdo è che Oscar, donna, per vestirsi da donna e muoversi da donna deve recitare la parte di un’altra – la contessa straniera.

Eppure lo fa. E funziona. Funziona, finché Fersen non rompe l’incantesimo e sposta il dialogo fuori dai codici del ballo: parla della vera Oscar e dei propri reali sentimenti per lei. Al che, l’incantesimo svanisce. Oscar né è stupida, né è masochista. Il ballo non serve più, è inutile avvicinarsi a chi è veramente lontano. Caterina Caselli avrebbe cantato “Il ballo in maschera finisce qui, ma tu divertiti, ancora un po’, tanto è sempre carnevale, per chi non ha le spine dentro al cuore”… può suonare stonata, una citazione così poco poetica (“sono solo canzonette”), ma quando resta la forma e basta, in una situazione formale, rimane la coreografia senza musica, la musica senza senso. Cade tutta la poesia del sogno. Nell’anime, cade drammaticamente (“cinquecento catenelle che si spezzano in un secondo, e non ti bastano per piangere le lacrime di tutto il mondo”). Nel manga, misera cade, come un velo soffiato via. Il manga è più “ragionato”, in questo passaggio (e conforta la mia idea per cui Oscar, già da lì, abbia, magari istintivamente soltanto, avvertito che stare con Fersen non era ciò che pensava, foss’anche solo perché avrebbe dovuto essere diversa da come lei era – ovviamente IMHO non era solo per questo :)).

Comunque, le parole di Fersen hanno l’effetto dei rintocchi della mezzanotte – pardon, ma quella scena del ballo con Fersen a me da piccola ricordava Cenerentola. Solo apparentemente, però: perché a me, benché piccola, già era evidente che il principe azzurro, a quel ballo, non c’era. Non c’era andato. Nonostante avesse preparato la carrozza.

Del resto, loro due – Oscar e il suo principe, che tale sicuramente era nell’animo – non avrebbero ballato. A lui non importava niente di ballare con lei, secondo me. Non in quei balli, non davanti al pubblico,  con lei vestita da dama e formalmente “sua”. Tenerla tra le braccia, quello certo che sì. Muoversi allacciati, con la musica che solleva il cuore e dà voce alla gioia che senti, quello sì. Farla volare e volare con lei.

Ma secondo me, quello tra loro, così essendo, non sarebbe stato più “ballo”. E’ già danza. Danza che esprime col movimento il proprio cuore. Oscar e André non avrebbero ballato. Avrebbero danzato un pas de deux. Così come hanno danzato molte volte, da soli, anche il loro dolore.

Ballo e danza  sono diversi, per me. Ci ho rimuginato anche grazie al verso di una canzone di Fossati (aridaje lui, sorry :)): “si vive di danze, di ballo sociale” (da “Discanto”). Danza tout court, ballo “sociale”. Il ballo è gioia, festa, pubblico. La danza è un modo di esprimere la vita, e non di recitarla. La danza non è una forma per poter fare qualcosa. La danza è la vita che diventa poesia. La danza, diceva Martha Graham, è il linguaggio nascosto dell’anima.


Da Alessandra: interviste a Shingo Araki – links

3 gennaio 2012

Per gli ammiratori di Shingo Araki, desiderosi di leggere qualcosa sul grande maestro appena scomparso, proponiamo dei link interessanti:
http://www.icavalieridellozodiaco.net/informazioni/articoli/arakistory.htm
Si tratta di un’intervista non recentissima ma completa e illuminante. L’intervistatore è bravo e sa scrivere, tocca molti punti importanti e il testo tratta anche in svariati passaggi di “Lady Oscar”, della realizzazione dell’anime e dei personaggi.
Poi c’è un’intervista video in francese dell’ottobre 2011:

http://www.facebook.com/video/video.php?v=10150497130958688

e un’altra in francese ma scritta, del 2 novembre 2011

http://www.total-manga.com/article-shingo-araki-pa7576-2157/interview.html

sono entrambi testi raccolti di recente, quando Shingo Araki, già molto malato, partecipò all’edizione 2011 di “Paris manga”.
Altro contributo analogo, sempre in francese, con qualcosina di aggiuntivo, qui:

http://www.manga-news.com/index.php/actus/2011/11/30/Interview-Shingo-Araki.